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L'AMANTIDE

LOVe MACHt FREI

2015

liberamente tratto da La moglie a cavallo di Goffredo Parise

regia Daniele Menghini

drammaturgia Giodo Agrusta

con Giodo Agrusta, Cristina Daniele, Daniele Menghini, Ludovico Röhl

scene Manuel Menghini

costumi Daniele Menghini realizzati da Le Sartoriali

luci Fabio Galeotti

trucco Lucia Cingolani

acconciature Michele Trentini

foto Eleonora Proietti, Dromo Studio e Massimo Menghini

Produzione Malabranca Teatro

con il sostegno del Teatro Stabile dell'Umbria

Spettacolo vincitore del Premio della Critica | Festival Direction Under 30  - Teatro Sociale di Gualtieri (2015)

“Per la sensibilità estetica che permea il loro intero lavoro, donandogli coerenza e precisione.

Il ricorso consapevole alla metafora è stato considerato molto interessante per gli esiti inediti di una ricerca linguistica capace di sorprendere e intrattenere con intelligenza. 

L’accurata attualizzazione di un testo non banale e provocatorio risulta con efficacia in una drammaturgia fresca che merita un’adeguata vetrina nell’ottica di futuri sviluppi.”

 

"Talvolta temo davvero di non amare più nessuno, di non riuscire ad amare. E invece l'incontro è sacro per questo. Incontro qualcuno che mi fa pensare che sono ancora capace di amare." 

Piero Ciampi

Due sposi freschi di “sì” e tutta una vita davanti.

Insieme. Inesorabilmente.

Nel bene e nel male, in ricchezza e in povertà, in salute e in malattia.

Un sogno che si corona di spine.

Una vita di coppia che si rivela condanna per un marito devoto ad una moglie “capricciosa”, in cui l'amore diventa possesso e il possesso ricatto.
Una parabola amara e surreale della vita coniugale intesa come gioco morboso, in cui amare significa dominare.

Forsennatamente. Instancabilmente.

Love Macht Frei. “L’amore rende liberi” è il motto che potrebbe beffardamente accoglierci all’ingresso del nido d’amore dei due sposi protagonisti de “La moglie a cavallo” - opera surreale e grottesca scritta nel 1959 da Goffredo Parise - che, inconsapevoli e con ancora il riso tra i capelli, stanno per conoscere a loro spese cosa vuol dire amare, essere sposati, essere in due.

Sembra un capriccio ingenuo e puerile ad azionare l’ingranaggio morboso che porterà la piccola e dolce Romana a pretendere dal puro e gentile Glauco prova del suo amore, un capriccio innocente come se ne hanno tanti, una "voglietta" irrefrenabile che degenererà in dispotica dipendenza.

L'amantide nasce da una personalissima lettura del testo di Parise, cui si aggiungono interventi drammaturgici volti a delineare, scena dopo scena e in maniera sempre più chiara, la deriva relazionale a cui i protagonisti sembrano destinati e la sua origine.

Applicando allo sguardo cinico di Parise un filtro deformante e onirico, si fa della vicenda amorosa una parabola surreale della vita di coppia dai toni aspri ed epici che resta volutamente fuori da una collocazione temporale ben definita. I fatti vengono raccontati allo spettatore attraverso il progressivo delirio “allucinato” dei due sposi che, bisognosi di amare ed essere amati, arrivano a non riconoscersi più.

Mi piace pensare che se non avessi assunto il punto di vista alienato dei due protagonisti tutto sarebbe apparso in maniera completamente diversa da come viene invece rappresentato in scena: abiti morbidi e colorati avrebbero preso il posto dei costumi austeri di foggia militaresca che quasi imprigionano i corpi degli attori (il costume di Romana fonde una gonna Dior anni '50 con una divisa nazista); il rumore metallico delle pesanti saracinesche della casa-lager sostituito da un cinguettio primaverile tranquillo e rasserenato; al posto dell'impervio tavolo che fa da ponte tra due incombenti sedie avremmo trovato un rassicurante interno piccolo borghese temperato dal calore di un nido domestico e non congelato da una stilizzazione asettica e vagamente carceraria.

In quest’ottica l’appartamento descritto tanto dettagliatamente dall’autore diventa uno spazio antinaturalistico, essenziale e straniato, chiuso ermeticamente agli occhi indiscreti del mondo pettegolo e bacchettone che sta fuori. Una casa impervia e claustrofobica che si fa palcoscenico di un amore malato in cui le atmosfere da commedia borghese lasciano precipitosamente il posto al più paradossale dramma assurdo in cui amare e dominare diventano sinonimi.

Un paradossale cortocircuito delle relazioni, un gioco morboso a cui all’inizio i protagonisti tenteranno di sfuggire per poi arrivare ad accettarlo, a desiderarlo ed infine, inevitabilmente, a pretenderlo.

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